Sono sempre molto attento ai temi che riguardano l'innovazione, la sostenibilità, le nuove idee e tutto ciò che è connesso al cambiamento. Ma, confesso, che fino a qualche giorno fa, ignoravo l'esistenza di questa nuova figura consulenziale.
Sto parlando del Chief Happiness Officer, acronimo CHO, ovvero il manager della felicità in azienda. Così lo traduco io, che amo poco gli acronimi e mal sopporto gli inglesismi. Ma ci si adatta. Fa comunque molto trend e denota high skills infarcire i discorsi con acronimi provenienti da oltreoceano. Ma andiamo oltre.
L'idea di introdurre la figura del manager del benessere nelle organizzazioni viene, anch'essa, come oramai siamo abituati ad osservare, dall'esperienza statunitense. Nelle più prestigiose facoltà economiche di tutto il mondo anglosassone, sto parlando ad esempio di Harvard, Berkeley, Stanford, esistono da qualche anno dei corti specifici che insegnano la Scienza della Felicità e delle Organizzazioni Positive.
Passato il primo momento di perplessità, analizzando meglio la questione, ritengo che sia una novità assolutamente benvenuta. A patto che venga fatta e gestita nel modo migliore. Il tema Work life balance, il corretto equilibrio tra vita lavorativa e vita privata, è da parecchi anni dibattuto anche in Italia. Se ne parla molto, anche se, nella realtà delle aziende, non è ancora ben consolidato. Rimane un tema marginale e riconducibile solo a poche aziende guidata da un management illuminato.
La pandemia da Covid-19, il distanziamento, l'obbligo e l'opportunità di lavorare da remoto hanno aperto la questione. In molti hanno capito che non si vive solo di lavoro, che il benessere deve essere costruito tanto nella vita extra lavorativa, quanto nelle ore trascorse al lavoro. Basti pensare a quanti, in tempi recenti, hanno deciso di trasferirsi dalla città alla campagna, o comunque, in luoghi che dessero la possibilità di godersi la natura, magari anche di lavorare, da remoto, dal giardino di casa. L'ondata di dimissioni anch'essa è collegabile a questa nuova esigenza di coniugare al meglio il dover lavorare alla necessità di vivere una vita famigliare sana e serena.
Ho l'impressione che l'introduzione di questa nuova figura del Manager della felicità sia collegata anche a questa rinnovata e pressante attenzione verso i temi della sostenibilità. A breve ho intenzione di parlarne in maniera più puntuale, ma vorrei anticipare il pensiero, o meglio, il consiglio, che la sostenibilità ed i fattori ESG non debbano essere snobbati da alcuna organizzazione, anche se piccola o micro impresa. Il tema della sostenibilità colpirà duro tutte le aziende ed arriverà molto prima di quanto si possa immaginare. Perché le regole ci sono, sono pronte ed attendono solo di entrare in vigore. E' indispensabile che tutti gli imprenditori inizino ad affrontare la questione. Quello che molti non hanno capito è che i fattori ESG dovranno essere presenti in tutta la filiera economica. Non importa che voi pensiate "tanto sono piccolo e queste cose sono per le grandi aziende". E' vero, ma non sottovalutate la questione se siete fornitori di grandi aziende. Perché arriveranno anche da voi. Forse prima che diventi un obbligo, sarebbe il caso di cogliere l'opportunità di cambiare. Di migliorare. Ma ne parleremo a breve.
Tornando all'argomento di questo post, la sostenibilità include anche il benessere aziendale. Uno dei pilastri della sostenibilità riguarda proprio l'ambiente di lavoro. In letteratura economica da qualche anno si parla di organizzazioni positive. Le trovate indicate con l'acronimo ORG+. Maledetti acronimi. Un'organizzazione positiva è un luogo in cui le persone fioriscono in relazione con altre e ottengono risultati individuali e collettivi che hanno senso e superano le aspettative. Le evidenze sul campo mostrano che un'organizzazione positiva è in grado di avere una capacità innovativa superiore alle altre (+300% secondo HBR), u aumento del fatturato (+37% secondo S.Achor) ed un aumento della produttività (+31% secondo S.Achor). Non posso verificare questi dati ma non li metto in dubbio, semplicemente perché è innegabile che lavorare in un ambiente sereno, facendo il proprio lavoro con passione ed entusiasmo, con colleghi felici e collaborativi rende tutto molto più facile e meno faticoso.
Il Chief Happiness Officer è colui che dovrà accompagnare la crescita positiva di persone e team per la realizzazione del Potenziale e del Benessere. Lo scopo del Chief Happiness Officer è rendere il posto di lavoro un luogo felice, dove le persone si sentono sempre a proprio agio, apprezzate, comprese, valorizzate, motivate. Non solo, le dinamiche stesse tra colleghi devono essere serene, condurre a una produttiva collaborazione; in ufficio dovrebbe regnare una buona atmosfera ed essere un luogo in cui ogni mattina una persona è felice di andare.Per un'azienda, avere collaboratori felici significa attirare e trattenere talenti, renderli più coinvolti nella missione aziendale.
Ogni giorno sono sempre più convinto che siamo in un periodo dirompente per quanto riguarda il mondo aziendale. Siamo entrati in un processo di enorme e radicale cambio culturale che necessariamente avrà conseguenze nei modelli organizzativi. Non restiamo chiusi, pensando che quanto ha portato benessere e successo in passato possa ora, continuare a generarli in futuro. Apriamo gli occi, le orecchie e la mente. Accettiamo il cambiamento e facciamolo nostro. Si salverà solo chi saprà cambiare ed evolvere. Come diceva Charles Darwin non è il migliore che sopravvive, ma quello che saprà meglio adattarsi ai cambiamenti.